rec. La storia di Cristo di Giovanni Papini
Pubblicato in:: Rivista di letture, anno XVIII, fasc. 4, pp. 63-65
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Data: 15 aprile 1921
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Non si può discutere questo originale libro, che sembra scritto con l'intenzione precisa di sfuggire alla critica, che afferrandolo proprio con la critica, quella critica che può parer forse troppo piatta per un libro irto di punte, troppo cattedratica e retriva per un libro che vuol dare il calcio a ogni cattedra e filosoferia, troppo prosastica per un libro poetico; ma che, se fatta serenamente e al lume di quei principii che il Papini riconosce per suoi, può far tanto bene quanto ha intenzione di farne il libro medesimo.
E la critica, che in fondo é arte e poesia pur essa, interpreta l'autore dapprima, discute la veste che, qui specialmente, è non minor parte della sostanza, disamina la sostanza trattata, digerita, fatta sangue e vita dallo scrittore, perchè il Papini, rispettando il suo nome di scrittore, non ha vergato un rigo che non sgorgasse come limpida vena dalla fontana aperta ne' suoi precordii.
Chi sia il Papini tutti sanno; noi ce ne interessammo più volte; avremmo voluto fin da tempo dire una parola della sua crisi risolta, se non ci avesse fatti peritosi quel non avere alla mano sufficienti elementi per azzardare delle affermazioni. Egli stesso si dipinge, con grande sincerità, nella prefazione: «Come lo scrittore, dice di se stesso, sia giunto a ritrovar Cristo, da sè, camminando per molte strade che alla fine sboccavano tutte ai piedi della Montagna dell'Evangelo, sarebbe un discorso troppo lungo e anche difficile. Ma il suo esempio — cioè quello d'un uomo che ebbe sempre, fin da bambino, una repulsione per tutte le fedi riconosciute, e per tutte le chiese, e per tutte le forme di vassallaggio spirituale, e poi passò, con delusioni tanto profonde quanto erano stati potenti gli entusiasmi, attraverso molte esperienze, le più diverse e le più nuove che poteva trovare — l'esempio di quest'uomo, dico, che ha consumato in se stesso le ambizioni d'un'epoca instabile e irrequieta come poche ve ne furono: l'esempio di un uomo che dopo tanto scavallare, matteggiare e vaneggiare torna vicino a Cristo, non ha, forse, un significato soltanto privato e personale».
Giovane ancora, sulla quarantina, ingegno ferace e profondamente studioso, di coloro che le questioni non trattano superficialmente e se non dopo aver elaborato in sè interamente l'idea presa in esame, irrequieto e inquieto fors'anche, per non aver mai trovato l'appoggio, il largo navigabile, il prato ameno, passi anche la retorica, del riposo; svolse l'attività sua letteraria quasi completamente nel lavoro di critica; poche rime, poche novelle, del resto critica a fondo, aspra sovente, originale, scarnificante„ di filosofi, dí prosatori, di poeti, che rappresentassero una corrente d'idee in questa tormentata generazione, provata dalle più grandi sventure, bramosa di raggiungere le più eccelse idealità, travolta da burrasche di pensiero, le più opposte e discordanti.
Scrittore di lotta perciò e di passione, veemente, implacabile, in urto con spiriti ugualmente agitati, che riconoscevan la morsa che prendeva ov'era il debole e lo sventolio incessante sui loro occhi d'una bandiera al cui motto non sfuggivano: questa è la verità!
Quando sulle scene a Milano un avversario in arte satireggiandolo gli faceva dire: non ho che nemici, sono in urto con tutti, ritornerò al vecchio Cristo, ne scriverò anche la storia.... brutalmente diceva una verità che al Papini può esser dolce.
Ecco l'uomo dalla testa arruffata che, giovane ancora, ha detto: ho salito il monte, ho trovato l'idea riposante, faciamus ric nobis tabernacula.
Il libro. Scritto con sincerità grande sull'orlo del passaggio, coi piedi ancora sulla
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sponda di qua, ma con lo slancio del salto, e perciò con l'impeto della spinta presa, per arrivare di là e fermarvisi; con indosso ancora del vecchio bagaglio, quello almeno che allo scrittore sembra utile e necessario portar dì là, specialmente se è dì arte, di poesia e dì umanità; con l'animo volto piuttosto a quelli ch'erano dì qua con luì, e che vi rimangono, ancor neghittosi; con nessuna preoccupazione del viaggio che dovrà di là compire, persuaso che lo saprà compire.
Egli sa che la storia di Cristo tocca questioni profondissime dì dottrina, è posta alle basi della fede cattolica, è l'eredità più sacra e gelosa deposta in grembo alla Chiesa che sola può dire: è veramente mia; ma per il momento sembra non avere che una sola preoccupazione, quella di evitare l'errore. Studia ancora, ma non ha studiato tutto; la sua coltura non è quella ecclesiastica; nel magazzino della sua mente non ha messo finora che roba che con la storia di Cristo non aveva a che fare e teme che, vuotandolo tutto. più nulla vi resti e anche il buono se ne vada; è meglio che qualcosa di buono cresca insieme al frumento, piuttosto che estirparlo: quello che San Paolo, egli dice, fece di proposito mostrandosi come senza legge per guadagnare quelli che eran senza legge, egli fa naturalmente, fidando completamente nella purità delle intenzioni. E le sue intenzioni sono pure, anche se la penna è talora quella del vecchio scrittore, quella del critico uso a troneggiare su tutto, perchè lo scudo della critica non è perforato mai, seppure è raggiunto, dagli strali dei presi di mira.
Non conoscendo i trattati della dottrina, la patristica e la esegesi cattolica, non presume di scendere al profondo nella dottrina del Cristo e della redenzione e della grazia. Non che sia superficiale; ma gli pare che la manifestazione del Cristo, al confronto delle massime e della vita del suo tempo, come la imperitura e sempre nuova manifestazione del Cristo, al confronto delle massime attraverso le quali il Papini ieri, e con lui tutta la società; andava randagio, basti da sè sola a imporre Cristo agli erranti, a sanare le piaghe cancrenose, a risuscitare ì morti; fors'anche gli sembra a torto, che la discussione profonda della verità nuoccia agli stomachi deboli, ai parvoli lattanti. È laico e vuol essere laico, quasi anti-ecclesiastico, parendogli miglior espediente; è poeta e facitore della lingua, e perciò ama librarsi ai più alti e liberi voli della fantasia, per rapire gli animi dietro le bellezze del Vangelo. Renan si fece leggere e sì fa leggere purtroppo ancora perchè, in mezzo alle sue fantasie razionaliste e alle sue bestemmie negatrici, scrisse un libro, cioè un'opera d'arte che entusiasma dietro quella effimera e sfuggente figura del Cristo; egli la scriverà con pari arte per affascinare gli animi dietro la figura del Cristo vero. Se perciò talvolta l'ordine cronologico dei fatti, se qualche episodio, se qualche figura, se qualche esplicazione tradizionale dovrà esser mutata, egli crede lecito di poterlo fare, sarà almeno scusato.
E v' han pagine che potrebbero essere ritoccate, corrette, senza scapito della bellezza del libro, e forse con maggior efficacia. Si può, è vero, perdonare a quelle pagine per le molte bellissime che s'incontrano, e che si leggono, diciamo pure, con pieno convincimento e con lagrime di commozione: e quante, e di quanti bei argomenti, vorremmo qui ricordare! Si può chiudere un occhio su certe riflessioni brutali, talora perchè troppo individualizzate col fatto, di fronte a tante altre vere e nuove, altamente spirituali; ma ci pare che la vita dì Cristo sia tutta così pura, non solo nei riguardi della sua persona, ma pur nei riflessi di quella che fu la preparazione e la aspettazione del Vecchio Testamento fino al precursore, il Profeta del Fuoco; non è mai l'uomo solo, ma sempre l'Uomo-Dio; non è uno che addiviene o che prende da altri,
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ma è Colui che è, la stessa scienza, la stessa verità; non è semplicemente il grande umanitario, l'uomo universale, ma il Dio in terra; non il restauratore solo dell'ordine sociale, ma primieramente dell'ordine interiore, della grazia per mezzo della Redenzione compiuta col sacrificio divino.; che ogni delicatezza è necessaria, perchè la mente non sia menomamente turbata o scossa. Non sarà mai tanto perfetta una storia di Cristo, se da essa non traspirerà quella serenità istessa ch'era nel Cristo, pur entro il vulcano delle passioni umane accese e condensate intorno a Lui.
Ecco, ne' suoi pregi e ne' suoi difetti, il libro.
La critica ai dettagli, che non è la più simpatica, non potrebbe esser breve, e utile solo in quanto verrebbe a lumeggiare la critica fatta così in sintesi e sotto l'impressione prima della lettura. N'avemmo talvolta l'impressione, leggendo ad esempio le pagine dell'Ultima Cena e della istituzione dell'Eucaristia, che il Papini non sfiorasse neppure il mistero, non scendesse fino alla presenza reale, rasentasse l'errore di chi vede nell'Eucaristia solo il simbolo della grande unione sociale in Cristo; ma, voltata pagina, ritrovammo intera la espressione evangelica e teologica. Par quasi che il Papini la verità assoluta voglia o lasciarla intravedere o dosarla per coloro che a tutta prima rifiuterebbero il cibo, se apprestato senza un necessario condimento o abbellimento. Tal'altra cercammo, dopo le belle pagine ch'esprimono l'animo del convertito faticante tra l'uomo nuovo e il vecchio, la grande, la profonda pace di quel mistero della confidenza, di quel potere dato da Cristo a' suoi ministri, di sciogliere e di sanare. E nell'ultima preghiera, sì fervida di mente e di cuore, deprecante una vision di Cristo a tutti questi uomini erranti insieme, ci chiedemmo se questo che è certo espressione di potente amore, potesse avere un significato che andasse più in là del volo della mente e del cuore, quasi desiderio intemperante di chi ancor bene non vede il Cristo nella Chiesa e nell'Eucarestia.
Certo, in chi specialmente conosce Cristo, perchè Lo ha sempre conosciuto fin dall'infanzia, la mente che riflette dopo il primo incanto della fantasia accesa dalle visioni smaglianti del libro, torna invincibilmente alle sue mature e radicate cognizioni di fede, quasi temendo di offuscarle o di irradiarle di luce diversa. È ben vero che il Papini non scrive per costoro; ma lo vorranno leggere pure costoro; anch'essi meditano nel Cristo come il Papini e quanto il Papini; del resto la verità in tutta la sua luce non ha mai nociuto ad alcuno. Tantochè ben vorremmo mettere accanto a questa storia, per chi legge, proprio una di quelle, e non ne mancano di scritte bene per quanto il Papini par le voglia mettere tutte in fascio, che servano a saggiare, se vale la parola, quello che Papini dice, perchè eco più fedele della interpretazione dottrinale ecclesiastica della storia di Cristo.
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